Il 19 maggio 1975 venne introdotta la Riforma del Diritto di famiglia, sostanzialmente basata sul principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi secondo l’art. 29 della Costituzione.
A tal riguardo, lo Studio Panagia si occupa, con particolare attenzione, delle delicate problematiche delle separazioni e divorzi, parentela ed affinità, del regime patrimoniale della famiglia, della filiazione, delle azioni di riconoscimento e disconoscimento paternità.
La separazione consensuale e giudiziale
Il ricorso per separazione è il mezzo attraverso il quale si sospendono alcuni effetti del matrimonio. La separazione può essere consensuale o giudiziale. La separazione giudiziale è promossa da uno dei due coniugi quando avvengono fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione dei figli.
La separazione consensuale avviene d’accordo con le parti e acquista efficacia solo con l’omologazione da parte del Tribunale. Il Tribunale può rifiutare l’omologazione della separazione quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli sia in contrasto con i loro interessi.
Secondo l’articolo 155 c.c., il giudice che pronuncia la separazione adotta una serie di provvedimenti relativi ai figli. In particolare, verifica se è possibile affidare i figli ad entrambi i genitori e se ciò non è possibile. Stabilisce a quale di essi i figli siano affidati e determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore.
Stabilisce, inoltre, la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli; prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori e adotta ogni provvedimento relativo alla prole; stabilisce la misura dell’assegno periodico secondo i parametri stabiliti dall’art. 155 cc. La separazione fa venir meno alcuni obblighi derivanti dal matrimonio, ed in particolare cessa l’obbligo di convivenza, l’obbligo di assistenza morale e materiale (ma non quello alimentare) e scioglie la comunione legale.
Il divorzio: dopo quanto tempo?
Il divorzio è l’istituto giuridico che permette lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio quando tra i coniugi è venuta meno la comunione spirituale e materiale di vita.
Si parla di scioglimento qualora sia stato contratto matrimonio con rito civile e di cessazione degli effetti civili qualora sia stato celebrato matrimonio concordatario.
Così come per la separazione, anche il divorzio può essere congiunto o giudiziale, a seconda se vi sia accordo o meno dei coniugi su tutte le condizioni da adottare.
Per poter divorziare è necessario che la separazione legale dei coniugi si sia protratta ininterrottamente per un perodo di tempo che era di tre anni ma che ora è stato ridotto a 6 mesi, che diventano 12 in caso di separazione giudiziale.
Il termine decorre dalla udienza di prima comparizione dei coniugi innanzi al tribunale nella procedura di separazione personale. Con il divorzio viene meno lo status di coniuge e si possono contrarre nuove nozze. La donna perde il cognome del marito. A seguito di divorzio, vengono meno anche i diritti e gli obblighi discendenti dal matrimonio, cessa la destinazione del fondo patrimoniale e viene meno la partecipazione dell’ex coniuge all’impresa familiare.
La sentenza di divorzio potrà anche stabilire provvedimenti su questioni patrimoniali e assegnazione della casa familiare e l’affidamento dei figli.
L’azione di disconoscimento della paternità
Le condizioni perché possa essere esercitata l’azione di disconoscimento della paternità sono elencate nell’articolo 235 del codice civile.
L’azione è rivolta al disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio, vale a dire nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Per superare la presunzione legale di paternità, è richiesto dalla legge che i fatti o situazioni atti ad escludere, se provati, la paternità del marito si siano verificati nel periodo di tempo compreso tra il trecentesimo giorno prima della nascita (termine corrispondente alla durata massima della gestazione) e il centottantesimo giorno prima della nascita (termine corrispondente alla durata minima della gestazione): ciò vale per tutti i citati fatti o situazioni, in cui consistono i casi presi in considerazione dalla legge perché sia esercitabile l’azione. La presunzione di paternità del marito è superata se viene provato che uno di quei fatti o situazioni si è verificato nel periodo di tempo cosi delimitato dalla legge.